un uomo legato e bendato cammina su una passerella che sporge da una nave a vela. Alle sue spalle un pirata.

Quest’anno è avvenuto l’inimmaginabile: il 19 Settembre 2022 è stato rilasciato Return to Monkey Island, una avventura grafica ideata da Ron Gilbert. Per gli amanti del genere basta questa frase ad evocare ricordi di avventure nel profondo dei Caraibi: tesori, combattimenti con pirati fantasma-zombie e un pollo di gomma con dentro una carrucola.

Le avventure grafiche

Return to Monkey Island è una avventura punta-e-clicca bidimensionale. In questa categoria di giochi per computer, il giocatore controlla uno o più protagonisti, che fa spostare in una serie di scene a due dimensioni, facendo click con il mouse sull’area dove vuole far muovere il personaggio. Facendo click in punti specifici è poi possibile interagire con l’ambiente, parlare con altri personaggi o raccogliere oggetti. Tutto questo per far progredire una storia interattiva risolvendo indovinelli, usando gli oggetti tra loro o i punti specifici dei livelli, o sbloccando dialoghi con i personaggi non giocanti.

Questo genere di giochi ha avuto il suo boom negli anni ’80 e ’90, nei primi anni di uso dei personal computer, soprattutto grazie ai prodotti della LucasArts che facevano uso dell’interfaccia SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion). Il giocatore ha a disposizione una serie di verbi con cui interagire con l’ambiente, in modo da poter contestualizzare i click del mouse e poter “parlare” con un personaggio, “usare” un oggetto o “aprire” una porta. Questo motore di gioco ha fatto il suo debutto nel 1987 per l’avventura grafica Maniac Mansion, ed è stato realizzato, tra gli altri, da Ron Gilbert.

The Secret of Monkey Island

Gilbert ha collaborato per anni con la LucasArts. Dopo Maniac Mansions, ha realizzato nel 1990 quello che sarebbe diventato il capostipite di una serie di avventure: The Secret of Monkey Island. In questo gioco interpretiamo Guybrush Treepwood, un giovane di bell’aspetto che ha un sogno nel cassetto: diventare un pirata! La storia è ispirata all’attrazione di Disneyland “Pirates of the Caribbean”, come l’omonimo ciclo di film, ma con tinte maggiormente ironiche ed a tratti demenziali. Infatti la ricerca di tesori porta a guadagnare solo t-shirt con scritte simpatiche, i duelli con la spada si vincono solo insultando nel giusto modo il proprio avversario e l’attrezzo giusto per rubare un idolo dorato è un togli-graffette da ufficio. Guybrush dovrà superare tre prove per diventare un pirata, e poi salvare la governatrice Elaine Marley dalle grinfie del pirata fantasma LeChuck, che l’ha rapita portandola sulla misteriosa Monkey Island.

Oltre all’uso dell’iterfaccia SCUMM, la novità principale di questa avventura fu che non era previsto un game over per la morte del protagonista: in ogni momento sapevi che c’era sicuramente un modo per far progredire la storia, quindi il focus principale era l’esplorazione degli ambienti e l’approfondimento del dialogo con i personaggi. Il primo aspetto portava a volte a delle situazioni “usa tutto con tutto” per provare tutte le possibili combinazioni tra oggetti e luoghi per risolvere gli enigmi. Il secondo aspetto, almeno per quanto mi riguarda, ha contribuito a far imprimere in modo indelebile le bizzarre avventure di Guybrush e dei sui compagni di viaggio nella mia immaginazione.

Monkey Island 2: Le Chuck’s revenge

Nel 1991 uscì il secondo capitolo della saga, ovvero Monkey Island 2: Le Chuck’s revenge. Interfaccia grafica migliorata, in quella che oggi chiameremmo “pixel art”, enigmi ancora più assurdi e una storia ancor più demenziale, se pur avvincente. Guybrush, ormai temibile pirata, è alla ricerca del favoloso tesoro di Big Whoop, ma sulla sua strada si pareranno una serie di ostacoli, tra cui un redivivo LeChuck in forma di zombie resuscitato dalla magia vudù. Gilbert si occupò anche per questo prodotto sia della direzione artistica che della programmazione, ma fu l’ultimo della serie Monkey Island realizzato da lui, almeno fino all’ultimo arrivato Return citato ad inizio articolo.

Altri capitoli della saga di Monkey Island

La saga delle avventure di Guybrush non si è però arrestata. Sempre a marchio LucasArts sono stati rilasciati altri due titoli: The Curse of Monkey Island nel 1997, primo della serie rilasciato su CD-ROM e dalla grafica più cartoonesca; Escape from Monkey Island nel 2000, che faceva uso di una grafica in 3D e dello stesso motore di gioco di Grim Fandango. In Curse Guybrush dona per errore un anello di fidanzamento maledetto ad Elaine, e per rompere la maledizione dovrà di nuovo affrontare mille avventure in giro per improbabili isole caraibiche. In Escape, invece, i due tornano dal viaggio di nozze per trovare la loro casa ed isola sottosopra, presa nelle mire di un magnate australiano che, collaborando con il solito Le Chuck, vuole dominare tutti i Carabibi per mezzo del talismano voodoo “L’Insulto Supremo”.

Tales of Monkey Island, realizzato nel 2009 da Telltale Games sotto concessione della LucasArts, ha portato una ventata di aria nuova nella saga: pubblicato in cinque parti, come d’uso per i giochi Telltale, ebbe un buon riscontro sia di vendite che da parte della critica. Guybrush, nell’ennesimo confronto con LeChuck, diffonde per errore una sorta di “vaiolo voodoo” e deve risolvere la cosa prima che il suo arcinemico diventi… un dio!

I lavori di Ron Gilbert

Anche Ron Gilbert ha continuato la sua carriera nel mondo delle avventure grafiche, sia con progetti in solitario che con collaborazioni con LucasArts. Ha contribuito al design di Tales of Monkey Island e poi nel 2014 ha rilasciato con la sua azienda Terrible Toybox l’avventura grafica Thimbleweed Park. Si tratta di una sorta di successore spirituale di Maniac Mansion ed i primi Monkey Island, sia per quanto riguarda la grafica “pixel art” che considerando il motore e l’iterfaccia di gioco. Il primo Aprile 2022, poi, ha lanciato un annuncio su Twitter: avrebbe realizzato un nuovo capitolo della saga di Guybrush Treepwood. Sapendo le alterne vicende di Gilbert con LucasArts, penso che quasi nessuno abbia preso sul serio la cosa all’inizio, bollandola come un pesce d’Aprile. Il successivo lunedì 4 Aprile è però arrivata la conferma ufficiale: il 19 Settembre 2022 sarebbe stato rilasciato Return to Monkey Island, una avventura grafica ideata da Ron Gilbert.

Return to Monkey Island

E eccoci quindi di nuovo ad impersonare Guybrush per un’altra (l’ultima?) avventura. Ormai adulto, rievoca con il figlio che ha avuto con Elaine la storia della sua impresa più grande: la ricerca e scoperta del misterioso Segreto di Monkey Island! La grafica è completamente rinnovata ed in stile quasi surrealista, ma ben si sposa con la storia sempre al limite dell’assurdo e del caricaturale. Guybrush è di ritorno su Melee, la prima isola visitata nel primo capitolo, con l’intenzione di scoprire il Segreto di Monkey Island. Ma ad attenderlo al molo che ci potrà essere se non la sua nemesi LeChuck, pronto a batterlo sul tempo nella scoperta del Segreto?

L’interfaccia e le stesse meccaniche degli enigmi sono decisamente semplificate rispetto a titoli precedenti, ma questo contribuisce secondo me a dare più enfasi alla storia presentata. Gilbert infatti la infarcisce di citazioni dei titoli precedenti e critiche più o meno sottili alle sue esperienze di lavoro ed a quello che abbiamo passato negli ultimi anni a livello globale. Arrivati in fondo al gioco siamo portati a riflettere su quanto sia più importante l’evoluzione della storia stessa rispetto al finale, che assume una dimensione onirica e citazionistica, guardando soprattutto al finale del secondo capitolo della serie. E siamo anche più o meno esplicitamente invitati dall’autore a riflettere su come le avventure di Guybrush nei diversi episodi diventino lo specchio degli eventi che hanno segnato la sua vita, ed anche la nostra, nel passare degli anni.

Il bello di un’avventura che si è evoluta nel tempo, continuando a raccontare una storia divertente e giocosa, che permette di continuare ad alimentare l’immaginario  del mondo dei pirati, a cui tutti abbiamo giocato o giocheremo sempre.

N.B.: l’immagine in evidenza è tratta da Howard Pyle’s Book of Pirates (1921), da wikimedia commons.