Mi è capitato spesso, nel mio percorso formativo, di studiare l’evoluzione della narrazione legata all’uso delle immagini, che nel tempo si è evoluta in vari modi e forme, con supporti e strumenti diversi. Dalla voce intorno a un fuoco, alla pietra e alle pitture rupestri, dalla musica alla poesia, dal gioco al teatro (marionette e burattini, carte e tarocchi), dalla scrittura alla invenzione della stampa, dal gioco di ombre e mani e alle figure animate, etc.
Con l’evoluzione della tecnica, i supporti e gli strumenti della narrazione si sono evoluti sempre più. Se la scrittura e la lettura hanno contribuito alla narrazione fissa e allo stresso tempo alla diffusione più massiva, altrettanto lo hanno fatto mezzi più moderni, dalla filmografia ai cartoons e anime, dai video giochi ai giochi di ruolo on line, da internet ai blog di storytelling.
Ma questi supporti narrativi hanno antenati più antichi, che sono messi splendidamente in mostra presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino, che avuto il recente piacere di visitare. Infatti, nella parte più bassa della Mole Antonelliana è ospitata una mostra che ci racconta cosa c’era, quando il cinema ancora non esisteva.
L’archeologia del cinema o proto-cinema rappresenta un modo per capire l’evoluzione delle tecniche e delle invenzioni che hanno portato alla organizzazione e struttura del cinema moderno, oltre ad essere un vero e proprio caposaldo della narrazione, delle tecniche e degli strumenti che, ancora oggi, possiamo usare per raccontare storie e affascinare il pubblico sia infantile che adulto. L’universo immaginifico delle camere oscure, dalle scatole ottiche, lanterne magiche e di tanti successivi dispositivi, per animare le immagini.
Teatro dell’ombra
La prima esposizione in questa sezione del museo è dedicata al Teatro dell’ombra, che viene realizzato proiettando figure articolate su uno schermo opaco, semitrasparente, illuminato posteriormente per creare l’illusione di immagini in movimento. Questa forma narrativa si è diffusa in varie culture e ha lasciato testimonianze davvero bellisssime, che è possibile ammirare dentro il museo.
“Brillino le immagini sul tuo muro bianco! E quando pure ciò non fosse che un’illusione passeggera, tuttavia fa la nostra felicità, quando come piccoli bambinelli ingenui, restiamo lì davanti rapiti”.
J.W.Goethe, I dolori del giovane Werther, 1974.
La lanterna magica
La lanterna magica, inventata nel 1659 dall’astronomo Christiaan Huygens, è una macchina che proietta, ingrandite su uno schermo o su una parete bianca, immagini dipinte su vetro. Gli studi su questo strumenti si evolvono nel tempo, ed esso viene usato sempre di più. Tanti gli esemplari, coloratissimi in mostra al museo, che raffigurano fiabe, ma anche immagini a supporto della divulgazione scientifica.
“Avevano escogitato, per distrarmi…, di regalarmi una lanterna magica che […* sostituiva all’opacità delle pareti impalpabili iridescenze, soprannaturali apparizioni multicolori, dov’erano dipinte leggende”.
M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913.
Taumatropio, Zootropio e Caleidoscopio
Nel museo sono, poi, esposti esemplari di taumatropio, zootropio e di caleidoscopio. Ecco qui una descrizione del loro funzionamento:
- Il taumatropio – dal greco ϑαῦμα -ατος «prodigio» e tema di τρέπω «volgere» è “girare delle meraviglie”- è uno strumento che si basa sul principio della persistenza delle immagini sulla retina dell’occhio: consiste in una specie di disco fornito di un cordoncino alle due estremità del diametro; sulle due facce sono rispettivamente disegnati due oggetti le cui immagini, ruotando rapidamente il disco attorno al proprio diametro, si fondono sovrapponendosi.
- Il Caleidoscopio – dal gr. καλός “bello”, εἶδος “forma” e σκοπέω “guardo”- contiene due specchi piani disposti ad angolo, che sono chiusi entro un cilindro e paralleli al suo asse. In una delle basi è praticato un foro cui si applica l’occhio dell’osservatore, l’altra è costituita da due dischi di vetro (il primo trasparente, il secondo opaco) entro i quali si trovano pezzetti di vetro, o piccoli oggetti colorati. In base al principio della riflessione delle immagini, si formano contro luce graziosi disegni simmetrici, che la rotazione del tubo permette di variare a piacere. L’impiego di tre specchi e l’aggiunta di una lente di breve profondità focale permettono di moltiplicare le riflessioni o di applicare il processo a qualsiasi oggetto.
- Lo Zootropio è un dispositivo ottico per visualizzare immagini e disegni in movimento, inventato da William George Horner nel 1834. Il termine zootropio deriva dall’unione dei termini greci zoe e tropos, con il significato approssimativo di “ruota della vita”. Infatti, ruotando, questo strumento può mettere in scena, tanti racconti e aspetti della nostra vita.
La Fotografia animata
Nella parte finale del museo, vi è poi una mostra che racconta l’evoluzione della tecnica della fotografia animata, con più fotogrammi scattati a breve distanza gli uni dall’altri, che proiettati in sequenza danno l’illusione del movimento, che poi è stata all’origine del cinema moderno.
“Non si può pretendere di aver visto realmente qualcosa prima di averlo fotografato”.
Émile Zola, 1900.
La visita al museo merita davvero, per conoscere ed omaggiare queste tecniche di narrazione che, non solo possono affascinare i non addetti ai lavori, ma che possono fornire spunti per tecniche da usare in percorsi di narrazione. L’esposizione, poi, si espande nella parte superiore della Mole Antonelliana in una mostra dedicata al cinema moderno e contemporaneo, con locandine, costumi, fotografie, filmati, riproduzioni di set e tanto altro ancora.
Tanti sono i supporti moderni che si ispirano a questa tecniche narrative e che possiamo usare. Quando nei percorsi narrativi che faccio uso le ombre o lo zootropio, o altri strumenti ancora, l’incanto che si produce in chi osserva, è strabiliante: si riesce ancora a lasciare a bocca aperta.